Gli USA verso un nuovo taglio delle importazioni dalla Cina
Pubblicato il 8 settembre 2020 alle 21:27 in Cina USA e Canada
Gli Stati Uniti hanno annunciato l’intenzione di bloccare le importazioni di cotone e prodotti a base di pomodoro dalla regione cinese dello Xinjiang, a causa del sospetto sfruttamento di lavoro forzato nella filiera di produzione.
La decisione colpirebbe due delle principali esportazioni della Cina negli Stati Uniti e deve essere confermata dal Commissario ad interim della Customs and Border Protection (CBP) statunitense, Mark Morgan, insieme ad altri 5 divieti di importazione, similmente legati ad accuse di utilizzo di lavoro forzato. I “Withhold Release Orders” consentono alla CBP di trattenere le spedizioni sulla base del sospetto di utilizzo di lavoro forzato, ai sensi di leggi statunitensi di vecchia data, ideate per combattere la tratta di esseri umani, il lavoro minorile e altre violazioni dei diritti umani.
Il commissario esecutivo della CBP, Brenda Smith, ha dichiarato che i divieti di importazione effettivi si applicheranno a tutte le catene di approvvigionamento che coinvolgono cotone, compresi filati di cotone, tessuti e abbigliamento, nonché pomodori, concentrato di pomodoro e altri prodotti esportati dalla regione. “Abbiamo prove ragionevoli ma non conclusive che ci sia il rischio di lavoro forzato nelle catene di approvvigionamento legate ai tessuti di cotone e ai pomodori che escono dallo Xinjiang”, ha dichiarato la Smith. “Continueremo a svolgere le nostre indagini per colmare queste lacune”, ha aggiunto.
I divieti potrebbero avere effetti di vasta portata per i rivenditori e i produttori di abbigliamento statunitensi, nonché per i produttori di alimenti. La Cina produce circa il 20% del cotone mondiale e la maggior parte proviene dallo Xinjiang. Non solo, Pechino è il più grande importatore mondiale di cotone, che compra anche dagli Stati Uniti. La decisione arriva mentre l‘amministrazione dell’attuale presidente, Donald Trump, sta aumentando la pressione contro la Cina. Tuttavia, le Nazioni Unite hanno affermato di avere rapporti credibili secondo cui 1 milione di musulmani cinesi, principalmente di etnia uiguri, sono stati rinchiusi in una serie di “campi rieducativi” nella regione, dove gli vengono imposti lavori forzati. Pechino nega il maltrattamento degli uiguri e afferma che i campi sono “centri di formazione professionale” necessari per combattere l’estremismo.
Tuttavia, è necessario sottolineare che le tensioni tra le due principali potenze economiche del mondo, rappresentate da Washington e Pechino, sono ancora alte. La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è cominciata il 23 marzo 2018, quando Washington ha imposto dazi del 25% e del 10% sulle importazioni rispettivamente di acciaio e alluminio. Tale decisione ha direttamente colpito la Cina. Lo stesso giorno, Trump ha annunciato un piano di tariffe e sanzioni commerciali sui beni importati per un valore stimato intorno ai 60 miliardi di dollari. Pechino ha risposto il giorno seguente, annunciando tasse nei confronti di 128 prodotti americani per un valore di 3 miliardi di dollari. Il 6 luglio 2018 gli Usa hanno imposto dazi addizionali del 25% su altri prodotti cinesi, per un valore di altri 34 miliardi di dollari, dando avvio, secondo Pechino, alla “più grande guerra commerciale della storia economica”. Ulteriori trance di tariffe sono state implementate da entrambi i Paesi nei mesi successivi.
L’Accordo economico-commerciale “di fase 1” firmato il 15 gennaio scorso alla Casa Bianca da Liu He e da Trump era stato il primo passo concreto verso la fine della guerra dei dazi. Tra le clausole dell’intesa, figura l’acquisto da parte cinese di beni statunitensi per 77 miliardi di dollari entro il primo anno dalla firma ma, al momento, le importazioni di Pechino starebbero procedendo ad un ritmo ben più lento del necessario. Ad esempio, nonostante la Cina abbia aumentato l’acquisto di prodotti agricoli tra cui la soia, è ancora lontana dalla cifra di 36,5 miliardi di dollari di spesa per l’acquisto di prodotti agricoli statunitensi, come mostrato dall’ Ufficio del censimento USA che ha finora registrato esportazioni di beni agricoli verso la Cina per 7,274 miliardi. Lo stesso si può dire per il settore energetico, nel quale la Cina ha acquistato prodotti solamente per il 5% dei 25,3 miliardi promessi per la prima metà del 2020 ma le compagnie petrolifere statali di Pechino hanno ingaggiato per i mesi di settembre e agosto petroliere in grado di trasportale almeno 20 milioni di barili di greggio statunitense.
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di Redazione