Sale la tensione tra India e Cina: 20 soldati indiani uccisi al confine
Pubblicato il 17 giugno 2020 alle 12:02 in Cina India
Almeno 20 soldati indiani sono stati uccisi nei violenti scontri con le forze armate cinesi in una zona di confine, nell’Himalaya occidentale. Nuova Delhi e Pechino si accusano a vicenda di aver violato i rispettivi confini.
Le autorità indiane hanno dichiarato che 17 soldati indiani, che erano stati “feriti gravemente” durante una serie di colluttazioni con la controparte cinese, sono deceduti nella giornata del 16 giugno. Il giorno precedente, un ufficiale e 2 soldati erano morti a causa degli stessi scontri. La Cina, invece, non ha reso noto il proprio bilancio delle vittime. I fatti del 15 e 16 giugno rappresentano la più grave escalation degli ultimi 45 anni tra Cina e India, entrambi equipaggiati per una guerra nucleare.
I due Paesi condividono una frontiera di 3.500 chilometri, che non è mai stata adeguatamente delimitata, a seguito della guerra del 1962 tra Nuova Delhi e Pechino. Migliaia di truppe delle due parti, supportate da camion corazzati e artiglieria, si sono scontrate durante il mese di maggio del 2020, nella regione del Ladakh, al confine con il Tibet. I funzionari indiani affermano che i soldati cinesi hanno attraversato il confine in 3 punti diversi, erigendo tende e posti di guardia e ignorando le richieste di andarsene. Tale situazione ha dato luogo a scontri caratterizzati da lanci di pietre.
In tale contesto, è importante sottolineare che i feriti di entrambe le parte si trovavano “esposti a temperature sotto lo zero nel terreno ad alta quota”, secondo l’esercito indiano. Il clima, oltre gli scontri, ha contribuito ad aggravare le condizioni dei soldati. Il luogo dell’ultimo scontro è la Galwan Valley, che aveva già rappresentato una zona contesa nella guerra tra India e Cina del 1962. Situata nel Ladakh orientale, lungo la Linea di Controllo Effettivo (LAC) che separa i settori indiani e cinesi, la valle è posizionata ad alta quota ed è particolarmente inospitale.
Il violento confronto del 16 giugno, che secondo i resoconti di Nuova Delhi non ha implicato l’utilizzo di armi da fuoco, è stato affiancato da continui sforzi diplomatici, che non hanno avuto successo. Secondo l’esercito indiano, l’ultimo scontro ha avuto luogo durante quello che è stato descritto come un “processo di de-escalation” nell’area della valle di Galwan. Il Ministero degli Affari Esteri indiano ha rilasciato una dichiarazione, il 16 giugno, commentando le ragioni di un tale aumento della tensione. Pur confermando i colloqui diplomatici in corso tra le due parti, Nuova Delhi ha riferito che le colluttazioni sono state il risultato di “un tentativo da parte cinese di cambiare unilateralmente lo status quo” nell’area. Tuttavia, la dichiarazione afferma che l’India supporta ancora una “risoluzione attraverso il dialogo”.
Da parte cinese, la reazione ufficiale più dettagliata proviene dal Comando Occidentale dell’Esercito di Liberazione Popolare Cinese. La dichiarazione ha accusato l’India di “non rispettare gli impegni assunti”, facendo riferimento ai colloqui militari di alto livello tra le parti. Zhang Shuili, un portavoce del Comando ha dichiarato che l’esercito indiano “ha attraversato di nuovo la Linea di controllo effettivo (LAC), lanciando attacchi provocatori illegalmente e deliberatamente, innescando un feroce confronto fisico tra le due parti, che ha causato vittime”. Il 16 giugno, Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, invece, ha affermato che la Cina ha preso provvedimenti e “presentato forti proteste alla controparte indiana”.
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di Redazione