Rep. Dem. del Congo: arrestato leader di una setta separatista
Pubblicato il 27 aprile 2020 alle 12:04 in Africa Rep. Dem. del Congo
Nella Repubblica Democratica del Congo, la polizia ha arrestato il leader di una nota setta religiosa separatista, uccidendo 8 dei suoi seguaci durante un raid nella sua abitazione, a Kinshasa. L’arresto di Ne Muanda Nsemi, l’autoproclamatosi profeta e capo del Bundu dia Kongo (BDK), il gruppo che sogna di ripristinare il regno antecedente all’era coloniale, è avvenuto venerdì 24 aprile, dopo intensi scontri con la polizia.
Ex membro dei Parlamento, Nsemi ha un forte seguito nel Congo occidentale. Nel marzo 2017, era stato arrestato per aver condotto violente proteste contro l’ex presidente Joseph Kabila, ma due mesi dopo alcuni suoi sostenitori erano riusciti a farlo evadere.
La polizia ha annunciato il suo arresto su Twitter scrivendo: “Missione compiuta, è fatta”. Alcuni testimoni hanno riferito che i seguaci di Nsemi hanno tentato di proteggere la casa aggredendo la polizia, che ha aperto il fuoco contro di loro. L’uomo è accusato di ribellione, offese alla sicurezza e incitamento all’odio etnico, secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Interno, Gilbert Kankonde, in una nota. “Questo arresto è arrivato dopo il fallimento di diverse trattative per convincere la persona interessata ad arrendersi volontariamente”, ha sottolineato il ministro. Le forze di sicurezza hanno arrestato oltre 350 dei suoi seguaci nel corso dell’operazione, 35 dei quali sono rimasti feriti.
Gli agenti congolesi hanno ucciso più di 300 membri del BDK in una serie di dure repressioni condotte contro varie proteste nel 2007 e nel 2008. Dopo essere fuggito di prigione, Nsemi ha trascorso due anni da fuggitivo prima di riapparire lo scorso anno con una conferenza stampa a Kinshasa, in cui prometteva di voler contribuire allo sviluppo della nazione. Da allora è rimasto nella capitale lasciandosi spesso andare ad insulti contro Felix Tshisekedi o a commenti xenofobi che criticano il presidente per i legami con il vicino Ruanda.
Nel frattempo, sempre nella giornata di venerdì 24 aprile, un altro episodio ha scosso il Paese africano. Almeno 16 persone, di cui 12 ranger, sono state uccise a seguito di un attacco condotto all’interno del parco nazionale dei Virunga, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo.Secondo quanto riferito dalle autorità locali, si è trattato di uno degli attacchi più letali perpetrati in Congo nell’ultimo periodo. A condurlo, un gruppo di 60 uomini armati, appartenenti alle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR), una milizia ribelle Hutu, il quale ha attaccato un convoglio di civili che si stava spostando sotto la scorta di quindici ranger del parco. Delle sedici persone uccise, dodici erano ranger, mentre altre persone sono rimaste ferite, a detta del direttore del Congo Institute for Nature Conservation (ICCN), Cosma Wilungula.
Il parco obiettivo dell’attacco, situato nella regione del Nord Kivu, al confine tra Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo, è patrimonio mondiale dell’UNESCO ed è noto per la presenza di gorilla di montagna e altre specie rare o a rischio di estinzione. Questo fu fondato dalle autorità coloniali del Belgio nel 1925, e nel 1965, grazie al presidente allora in carica, Mobutu Sese Seko, ha assistito ad una fase di prosperità. Il parco, al contempo, è considerato uno dei progetti di conservazione naturale più pericolosi al mondo, in quanto deve difendersi da tentativi illegali di estrazione di carbone, dal contrabbando e dal bracconaggio, oltre che dagli attacchi delle milizie Mai Mai. Non da ultimo, nel periodo della guerra civile, a seguito della caduta di Mobutu nel 1997, l’area ha assistito ad un declino che ha causato la diminuzione di gorilla ed elefanti.
di Redazione