Immigrazione: Save the Children denuncia 2.400 minori soli irreperibili
Pubblicato il 15 giugno 2018 alle 16:30 in Immigrazione Italia
Salve the Children ha pubblicato venerdì 15 giugno la seconda edizione dello “Atlante dei minori stranieri non accompagnati – Crescere lontano da casa”, il report che fotografa la situazione di questi bambini dopo l’arrivo Italia. Il report è stato diffuso pochi giorni dalla Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno. Secondo l’ONG, nel 2017 sono stati 18.300 i minori non accompagnati ospitati nel sistema di accoglienza in Italia. Circa la metà di loro si trova in Sicilia, precisamente il 43% e solo il 3% è in affido. Oltre 1.200 di loro hanno meno di 14 anni. I minori non reperibili nel 2017 sono stati più di 2.400, sul totale di oltre 15.770 arrivati nel corso dell’anno.
I minori stranieri non accompagnati, secondo l’organizzazione, rappresentano una presenza costante e significativa sul totale degli arrivi dei migranti via mare in Italia, con una percentuale superiore al 13% nel 2016 e 2017, salita fino al 15% nel 2018. L’83,7% dei minori che sbarcano in Italia ha 16 e 17 anni, ma tra loro ci sono anche gruppi particolarmente vulnerabili come i piccolissimi, le ragazze e gli irreperibili. I minori sotto i 14 anni sono 1.229, pari al 6,7% dei presenti, di cui 116, cioè lo 0,6%, hanno meno di 6 anni. Save the Children specifica che le ragazze presenti sono 1.247, cioè 6,8% del totale, e provengono per il 60% da soli due Paesi, Nigeria ed Eritrea. Queste ragazze sono esposte al rischio di tratta degli esseri umani e di violenza sessuale. 191 di loro sono ancora bambine che raggiungono al massimo i 14 anni, nel caso del 15% del totale delle ragazze ospitate. Quasi la metà dei minori accolti proviene da soli 5 Paesi: Gambia (2202, 12%), Egitto (1807, 9,9%), Guinea (1752, 9,6%), Albania (1677, 9,6%) ed Eritrea (1459, 8%).
Dei 2.400 minori irreperibili sbarcati nel corso del solo 2017, uno su sei è di cittadinanza guineana, ivoriana o somala. Nella maggior parte dei casi, i minori vorrebbero raggiungere altri Paesi europei, spesso per ricongiungersi a familiari o amici. Questi bambini sono di fatto transitanti che cercano di rendersi “invisibili” al sistema di identificazione ed espulsione italiano. Dopo essersi allontanati dalle strutture di accoglienza, esposti a isolamento e pericoli, hanno l’intenzione di attraversare da soli il confine tra l’Italia e il resto d’Europa, a Ventimiglia, a Chiasso o al Brennero. Save the Children spiega vengono spesso respinti a queste frontiere, anche se manifestano l’evidente intento di richiedere protezione internazionale.
La normativa generale di riferimento relativa ai MSNA è regolata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989, la quale definisce fanciullo “ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”. Nel contesto dell’immigrazione nell’Unione Europea, un MSNA viene definito dalla Direttiva 2011/55/EU come “un minore che arriva nel territorio di uno Stato membro dell’UE da solo, o che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio dell’Unione”. Oltre ai bambini che viaggiano completamenti soli, la definizione si applica anche a quelli affidati a parenti entro il quarto grado che non ne siano tutori o affidatari in base ad un provvedimento formale, rendendo quindi i minori privi di rappresentanza legale in base alla legge italiana.
A livello europeo, il 6 maggio 2010, l’UE ha adottato il Piano di Azione sui minori non accompagnati, promuovendo un approccio comune tra tutti i paesi membri basato sul principio dell’interesse superiore del minore e contenente tre linee di azione. La prima mirava a prevenire l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, la seconda proponeva di istituire garanzie di accoglienza in tutta l’UE, mentre la terza promuoveva l’identificazione di soluzioni a lungo termine. L’obiettivo finale del piano era quello di far sì che ogni MSNA venisse messo sotto la protezione delle autorità competenti, preferibilmente per almeno 6 mesi, non appena approdato nei territori dell’Unione.
di Redazione